Dana il tuo 5X1000 alla coop. Pio La Torre - Libera Terra

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sabato 7 novembre 2009

Terra e libertà, quella Sicilia che non si arrende

Trasmesso in Rai un servizio sulla cooperativa Pio La Torre, che rende produttivi i campi sottratti alla mafia



E’ coraggio, è passione, è amore. E’ una miscela esplosiva di sentimenti quella che ti prende quando vedi ragazze e ragazzi fare antimafia concreta come quella tratteggiata con grande cura dagli autori de “Lo schiaffo alla mafia”, puntata della trasmissione di Rai 3 La storia siamo noi, andata in onda il 23 ottobre scorso e dedicata alla storia, anzi dovremmo scrivere alla Storia, della cooperativa Pio La Torre. E’ il racconto di chi con quotidiano impegno e anche con sofferenza, è riuscito a trovare lavoro in Sicilia proprio assestando un cazzotto sul grugno della criminalità organizzata, proprio strappando davvero la terra da sotto ai piedi ai mafiosi.

Questi ragazzi portano sulle spalle un nome importante, quello di Pio La Torre, segretario del partito comunista in Sicilia, padre proprio delle norme sulla confisca dei beni ai mafiosi e per questo assassinato dalla mafia.

Non è solo un’azione simbolica quella delle cooperative che lavorano le terre confiscate ai mafiosi, è un’azione concreta, reale, tangibile. Intanto c’è la terra, che è proprio la base attorno alla quale si sono stratificati negli anni rapporti di forza e di oppressione che vedevano nella mafia un baluardo in difesa dell’esistente ed in particolare nello sfruttamento delle masse.

E la terra in Sicilia ha significato lotte aspre nella battaglia per la vita. E quindi questa contesa, portata avanti da queste cooperative, riscatta anni di oblio. Riporta al centro i tanti caduti di mille battaglie, rievoca antichissimi canti siciliani di ribellione, come Malarazza, riscoperto da Modugno e poi oggi ripreso da tanti artisti, col contadino che prega Gesù di distruggere i padroni. Riporta in vita i Fasci siciliani dei lavoratori, formidabile movimento di massa di ispirazione socialista che venne paragonato per importanza alla Comune di Parigi e che coinvolse circa 300mila fra contadini, minatori ed operai dal 1891 fino al 1893, quando fu messo a tacere per mano militare.

Fa riemergere prepotentemente come protagonisti dell’oggi i tanti compagni uccisi perché si opposero ad un sistema feudale. Tra il 1944 e il 1966 furono ben 38 i sindacalisti a cadere per mano della mafia. E ad essere uccisi furono in particolare i migliori quadri del movimento dei lavoratori siciliano, di estrazione social-comunista, quelli che magari combattendo al Nord erano stati tra i promotori della Resistenza, quelli che poi tornati in Sicilia occupavano le terre per avere la riforma agraria, quelli che dicevano no ai soprusi e organizzavano i contadini.

Nel periodo precedente le determinanti elezioni del 1948, la mafia e i poteri ad essa collegati mirarono in particolare a colpire esponenti del partito socialista, impegnati ad arginare la scissione socialdemocratica ed a tenere unito il movimento contadino. In questo tentativo si inquadrano infatti – lo scrive anche la penna di Pio La Torre anni dopo nella relazione di minoranza alla commissione antimafia - gli omicidi di Placido Rizzotto, Epifanio Lipuma e Calogero Cangelosi.

Si riscatta anche quanto avvenne nel lontano ’47. Il 20 aprile di quell’anno, le elezioni regionali nell’isola videro una splendida affermazione del Blocco del popolo. Pochi giorni dopo, il primo maggio, a Portella della Ginestra, si consuma la prima strage di stato nel nostro paese. Occorreva bloccare l’avanzata della sinistra. A tutti i costi. Quell’avanzata significava rimettere in discussione l’assetto sociale baronale e mafioso su cui si reggeva il potere nell’isola. E così l’intreccio mafia, agrari, fascisti, servizi e americani, trovò una linea di azione politica efficace proprio con lo stragismo. Oggi i soliti e solidi legami tra borghesia reazionaria, stato, criminalità organizzata, riaffiorano anche per altre storie, altrettanto paradigmatiche della storia d’Italia, come la questione delle navi dei veleni che non distruggono solo ambiente e lavoro, ma in questo intreccio perverso rappresentano i mali del capitalismo.

Fortuna che un po’ di aria respirabile, in mezzo a tanto tanfo, c’è ancora, se è vero che ci sono manifestazioni partecipate come quelle di Amantea, in un’altra terra martoriata come la Calabria, se c’è ancora un Sud che riscatta gli anni di lotte e non li chiude nel cassetto dei ricordi, se ci sono ancora quelli che non si arrendono e con le armi del coraggio, dell’inventiva, dell’intelligenza critica, prendono in mano la terra e si sporcano le mani per dissodarla e togliere il veleno appestante delle mafie.

Quello che ha mostrato La storia siamo noi è un inno alla Sicilia che non si arrende ed un esempio concreto di antimafia reale e non di ciarle salottiere.



Davide Pappalardo

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